Chi è costretto a seguire orari irregolari e a rotazione ha il cervello più vecchio di 6 anni e mezzo. Le cause sono principalmente l’interruzione dei normali ritmi circadiani (cioè il ritmo caratterizzato da un periodo di circa 24 ore dell’organismo).
Uno studio francese ha dimostrato che chi è sottoposto a orari di lavoro a rotazione per più di 10 anni registra una diminuzione della memoria e della velocità di ragionamento equivalente a un invecchiamento precoce del cervello. La “buona notizia” è che alla cessazione dell’attività lavorativa il cervello progressivamente si allinea all’età biologica dei lavoratori, anche se questo richiede 5 anni.
Uno studio americano è stato condotto su 75 mila infermiere per 22 anni e ha rilevato che un’alterazione dei regolari ritmi del sonno accresce il rischio di cancro al polmone e malattie cardiovascolari con aumento di mortalità dell’11%.
Un altro studio canadese ha evidenziato che tra i lavoratori che effettuano un’attività lavorativa su turni vi è il 23% in più di rischio di infarto, il 24% di eventi coronarici e il 50% in più di incidenza di ictus.
Quando non è possibile modificare l’attività lavorativa si devono adottare delle strategie che riguardano l’organizzazione del lavoro, volte a minimizzare il danno:
- Pianificare correttamente il sistema di rotazione in accordo con i criteri ergonomici
- Preferire rotazioni in senso orario
- Evitare turni troppo lunghi (9-12 ore) se non correttamente strutturati ( ad esempio la pianificazione delle pause)
- Evitare due turni nell’arco di 24 ore
- Maggiore sensibilizzazione dei lavoratori che dovrebbero sottoporsi a frequenti controlli sanitari e prestare attenzione a possibili sintomi.
Infine il datore di lavoro, in fase di valutazione del rischio, dovrà:
- Porre particolare attenzione a tutti i rischi a cui sono esposti i lavoratori che effettuano turnazioni e che svolgono lavori notturni ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008
- Elaborare il DVR identificando le misure di prevenzione e protezione per questo rischio specifico